La bottiglia come modello di marketing pubblicitario

2023-01-05 16:14:13 By : Mr. Yohan Ying

Acqua S.Bernardo ha lanciato sul mercato una bottiglia elicoidale per sorprendere con un design particolare anche il Supersalone di Milano. Un’operazione che riporta in primo piano un packaging che, spesso, è sostanza e icona: partendo dalla Coca Cola per arrivare ad Heineken passando per l’arte di Campari.

Acqua S.Bernardo ha lanciato sul mercato una bottiglia elicoidale per sorprendere con un design particolare anche il Supersalone di Milano. Un’operazione che riporta in primo piano un packaging che, spesso, è sostanza e icona: partendo dalla Coca Cola per arrivare ad Heineken passando per l’arte di Campari. 

MILANO. Dimmi che bottiglia hai e ti dirò chi sei. Uno degli elementi che, nella storia, ha maggiormente valorizzato l’importanza del packaging si è ripreso, negli ultimi giorni, la scena del marketing. Il merito è del marchio acqua S.Bernardo che ha sfruttato i palcoscenici del Supersalone di Milano e dell’ultima di copertina del giornale La Gazzetta dello Sport per lanciare l’immagine della nuova bottiglia elicoidale nata per esaltare i concetti di ecosostenibilità nella produzione. 

Tra sacro (il design dell’arredo) e profano (la passione sportiva), dunque, ha trovato il suo spazio un prodotto di impatto estetico con una serie di letture secondarie interessanti. La realizzazione della bottiglia è stata affidata a Gabriele Gioria dello studio Kumooku di Casale Monferrato in Piemonte che ha dato vita ad una spirale con delle gocce disposte sul corpo di plastica seguendo il rapporto aureo dettato dalla successione di Fibonacci. Un packaging sostenibile e riciclabile al 100% per restituire l’idea di un percorso che riporta la bottiglia ad essere bottiglia in un circolo virtuoso che va oltre la classica rappresentazione circolare dell’economia ma si eleva verso qualcosa di più alto.

Senza contare un movimento complessivo che richiama quell’energia eolica che alimenta lo stabilimento di produzione di San Bernardo a Garessio in provincia di Cuneo nel cuore delle Alpi Marittime. Il marchio, che appartiene al settore beverage di Montecristo dal 2015 (azienda totalmente italiana), ha sempre strizzato l’occhio all’attenzione ambientale (come ormai trend consolidato in tutti i settori). Rientra in questa filosofia la particolarità di nascondere una piccola sorpresa sotto l’etichetta della bottiglia elicoidale per indurre i consumatori a rimuoverla e differenziarla una volta terminata. Il tutto con una produzione 100% in Pet riciclato (Pet Recycled Polietilene Tereftalato) che rappresenta una novità normativa (prima era concesso spingersi fino al 50%). 

La bottiglia, dunque, è stata presentata al Supersalone di Milano dove si è ritagliata il ruolo di partner ufficiale della manifestazione. Negli stessi giorni è stato acquistato lo spazio dell’ultima pagina della Gazzetta dello Sport (l’indomani la partita della Nazionale di calcio vinta contro la Lituania) per regalare un’ulteriore vetrina a un prodotto di design chiamato “Goccia Ely” in commercio, in realtà, già dallo scorso maggio. Il claim della grafica richiama il grande successo “Bello e Impossibile” di Gianna Nannini e diventa “Bella…bella e sostenibile”. Realizzato anche un teaser che richiama proprio il concetto di riciclo con il messaggio “Tutto sta girando, tutto può tornare”. 

“Il design del contenitore è importante quanto il contenuto – spiega Gioria – e deve aspirare ad essere quanto più possibile multisensoriale e sorprendente. È la strada che abbiamo voluto percorrere nell’ideare questa bottiglia concentrandosi sulla forma elicoidale”. Perché proprio lei? “Perché rappresenta qualcosa più dell’economia circolare. L’idea non è che l’oggetto torni semplicemente al punto di partenza ma che, nei passaggi di riuso, acquisisca pure un valore aggiuntivo. Un altro scalino verso l’alto. Poi, certo, la bottiglia elicoidale è dovuta passare attraverso delle prove fisiche non indifferenti, specialmente per l’acqua frizzante che tende a creare maggiore pressione interna”. Il tutto arricchito dalla sequenza di Fibonacci e le gocce nascoste sotto l’etichetta. “Utilizzare questa sequenza è stata un’idea del direttore di stabilimento di S.Bernardo Gigi Del Forno che ha avuto questa bella intuizione. L’idea di celare qualcosa sotto l’etichetta, inoltre, porta un duplice vantaggio attraverso l’eliminazione della carta.

Da una parte la bottiglia diventa ancora un oggetto diverso, volendo da arredamento e dall’altra, invece, facilita un più facile smaltimento di plastica e carta in modo diviso”. I primi feedback sono stati positivi. “E’ stato molto bello – continua Gioria – passeggiare per il salone di Milano e vedere tutti con la nostra bottiglia. Emozionante”. Il claim che richiama la musica di Nannini, invece, è più casuale: “Eravamo in riunione e banalmente qualcuno ha canticchiato quella canzone. Siamo poi approdati alla versione definitiva di Bella e Sostenibile sulla pubblicità di Gazzetta”. 

Anche Fabio Di Bartolomei, interior designer della Facoltà di Architettura dell’Università di Trieste, fissa le difficoltà tecniche nel realizzare una bottiglia. “Bisogna conoscerne l’irrigidimento e controllare sempre che il fondo lavorato sia in equilibrio reggendo la pressione del gas. Non solo, la sua plasticità deve restituire l’idea visiva e tattile di quello che si andrà a bere”. 

La bottiglia, comunque, non è certamente un prodotto pubblicitario nuovo. Anzi. La sua storia, però, nasconde lavori che cercano di pescare tra la funzionalità e l’estetica. Chi ce l’ha fatta ha scritto la storia. È il caso della bottiglia di Coca Cola, probabilmente la più celebrata e raccontata a livello planetario. Riavvolgiamo il nastro al 1915 quando i concorrenti della nota bevanda cercano di prendere subito per il collo l’astro nascente di Atlanta imitandola in tutto comprese, ovviamente, le bottiglie di vetro. Coca Cola chiama a sé i più grandi lavoratori del vetro del Paese arringandoli grosso modo così: “Vogliamo creare qualcosa che scriva il presente ed il futuro di Coca Cola come elemento base della società degli Stati Uniti. Un progetto che renderà immortale anche chi lo ideerà”. La Root Glass Company dell’Indiana riunisce tutti gli specialisti possibili e centra l’obiettivo.

L’idea arriva guardando la fava di cacao (non la noce di cola come riportato da qualche parte) sdraiata in orizzontale: quelle sono le forme giuste. Stilizzate, ovviamente. Le righe verticali che corrono dal collo fino alla base d’appoggio vengono inserite per ricordare la sinuosità di un vestito leggero da donna: il riferimento è quello del tubino. Tutto lo sviluppo costa a Coca Cola 500 dollari ed è ancora oggi l’archetipo di qualsiasi sviluppo attuale delle bottiglie della bevanda (comprese quelle di plastica). Al netto dell’inflazione un investimento come pochi nella storia del packaging. 

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La domanda che ci si può legittimamente porre davanti alla bottiglia del Campari è se ci si trovi al cospetto di un oggetto o di un’opera d’arte. Il suo padre creativo è quel Fortunato Depero che segnò in modo evidente il movimento futurista (in questo articolo vi abbiamo anche parlato della storia dell’iconico, anche lui, rosso del Campari). Il suo rapporto con Daniele Campari era stretto sin dagli anni ’20 (portando a una serie di manifesti che sono rimasti iconici) e sfocia proprio nella bottiglia lanciata nel 1932. Balza subito all’occhio la rinuncia all’etichetta basandosi sulle lettere in rilievo sul vetro con una trasparenza tale da favorire e catturare la luce per esaltare il contenuto color coccinella del Bitter Campari. Ancora oggi è regina degli scaffali. 

La spezieria Tassoni può vantare 229 anni di attività. Un’eternità (e nonostante questo sempre innovativa nella sua comunicazione digitale come vi raccontiamo qui). A maggior ragione è forse la più autorizzata a pescare nel mondo del vintage: ecco perché nel 1950 per la sua soda è stato scelto un bellissimo design must negli anni ’20 per un prodotto che ha avuto grande futuro. Spostandoci nel pieno della modernità approdiamo all’acqua gallese Ty Nant per cui nel 2001 Ross Lovegrove ha realizzato una bottiglia dai tanti dettagli avveniristici con materiali poveri. La forma si ispira alla materia fluida che contiene, con particolare attenzione alla facilità per impugnarla e schiacciarla. La superficie evoca quella del ghiaccio che si scioglie. 

Nel 2002 Heineken ha provato ad anticipare il futuro realizzando una bottiglia in alluminio da 33 centilitri. Il concetto, naturalmente, era quello di riprodurre la lattina (contenitore per eccellenza della birra) in una forma differente. Quasi una fusione di due elementi distintivi di questa bevanda. Per ora si è trattato di una special edition destinata a discoteche e pochi locali di tendenza. L’hanno potuta utilizzare, dunque, solo pochi selezionati consumatori e questo ha ovviamente determinato un grande successo. Ora andrà testata su larga scala per capire se ci troviamo davanti alla nuova strada di una storia infinita. 

Quanto si può comunicare, dunque, partendo da un semplice oggetto quotidiano? Tantissimo e molto a livello inconscio. Il tutto in un settore che si è certamente sviluppato tecnologicamente nella produzione ma non è stato stravolto dai tempi. La bottiglia di vetro con cui iniziò la Coca Cola è, banalmente, lo stesso oggetto bottiglia di vetro dentro cui si vende adesso la bevanda. È solo un’evoluzione della forma senza cambiare la sostanza nella fruizione finale. Una semplicità che è solo apparente perché creare davvero qualcosa di nuovo, in questo, caso, non è certo facile come bere un bicchiere d’acqua.  

Cara lettrice e caro lettore, se fai parte delle quarantamila persone che ogni mese sceglie di leggere La Gazzetta Del Pubblicitario per informarsi, arricchirsi o divertirsi, questa lettera è per te…

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