Mirko Sartori e il complesso della madre morta

2023-01-05 15:54:36 By : Mr. Robin Mao

E’ la prima volta, dopo oltre 10 anni, che riporto una vicenda in cui non si parla di crimini e criminali, ma di una storia che se non fosse realmente accaduta sembrerebbe degna della memoria di Hitchcock, Edgar Allan Poe o piuttosto di Matheson e Bradbury. 

Orsara Bormida è un piccolo comune in provincia di Alessandria in Piemonte arroccato intorno ad un’antica dimora storica fortificata, il castello d’Orsara Bormida. 

Ai piedi del paese, che conta poco più di 400 abitanti, si estendono splendidi vigneti e il paesaggio intorno, di rara bellezza, si riconcilia con i lenti ritmi della vita. 

Sarà stata la migliore qualità della vita, accompagnata alle ristrettezze economiche, a spingere, nel 1997, Anna Pelloni, una vedova originaria di Genova, a trasferirsi insieme al figlio Mirko dalla città di Gorgonzola, in provincia di Milano, ad Orsara Bormida. 

I due prendono una casa in affitto in una strada poco abitata e non intrecciano particolari relazioni con la popolazione del piccolo borgo. 

Madre e figlio fanno fronte alle spese, compreso l’affitto, con la pensione di reversibilità della donna che ammonta a circa 900 euro, mentre il figlio Mirko, non svolge alcuna attività lavorativa, se non saltuariamente. 

Il 9 gennaio del 2006 il proprietario dell’immobile, visto che non aveva ancora ricevuto la pigione e che il figlio Mirko non rispondeva al telefono da diversi giorni, decide di recarsi di persona presso l’abitazione. Suona più di una volta al citofono senza ottenere risposta, ma intravede che la serranda del garage è aperta e quindi con la chiave di riserva in suo possesso decide di entrare. 

Nella penombra del tardo pomeriggio invernale scorge un particolare insolito all’interno del garage: la Fiat Panda rossa è inclinata in modo anomalo sul lato anteriore destro. Entra e trova il corpo senza vita di Mirko Sartori schiacciato dall’auto. 

Dalla successiva autopsia emergerà che la morte dell’uomo è avvenuta per infarto o colpo apoplettico. 

Con molta probabilità il ragazzo si era messo sotto il veicolo per fare dei lavori meccanici, dopo aver alzato parte dell’auto con il cric, quest’ultimo ha ceduto ed è rimasto incastrato. 

Il proprietario vista la scena e che l’uomo era morto contatta immediatamente i carabinieri. I militari accorsi sul luogo, appurano che l’uomo è sotto l’auto e dopo aver effettuato un sopralluogo nel garage, si dirigono nella casa dalla madre. 

Una volta entrati appurano che non vi è la luce e quindi devono muoversi con l’ausilio delle torce. 

La scena che si presenta al loro cospetto è inquietante: per terra e sui mobili vi sono disseminate bottiglie d’acqua, scatole di medicinali e oggetti alla rinfusa dappertutto. Sul pavimento sporco vi sono escrementi e cibi ammuffiti, una vecchia Olivetti 22, polizze di assicurazione, stracci, rifiuti, cartacce e disegni. 

Ma è puntando le torce sulle pareti della stanza che i carabinieri rimangono esterrefatti: ogni centimetro quadrato delle pareti è ricoperto di scritte. 

In una di esse c’è scritto: il 20 novembre ho trovato mia madre morta. 

Erano circa le 23:30. Pur non godendo di ottima salute, non potevo presagire un evento simile. 

I carabinieri seguono le tracce di quanto riportato sulle mura, dove è scritto di tutto, dalle invocazione a Gesù, alle invocazioni agli abitanti del paese e soprattutto le richieste di aiuto: AIUTATEMI AIUTATEMI AIUTATEMI. 

Inoltre, c’è un riferimento continuo al nome Ernesto: Ernesto, ti prego aiutami nel cammino improbo che spero mi conduca a divenire un uomo degno di questo nome. 

Successivamente gli inquirenti scopriranno che Ernesto è il fondatore del “Sermig” (Servizio missionario giovani) un gruppo fondato a Torino il 24 maggio del 1964 da Ernesto Olivero insieme ad alcuni giovani cattolici con lo scopo di combattere la fame nel mondo tramite opere di giustizia, promuovere lo sviluppo e praticare la solidarietà verso i più poveri. 

La scritta che rimane maggiormente impressa agli operatori recita: il corpo di mia madre è di sopra, vi prego fate attenzione quando aprite l’armadio perché sulla testa ha un’effigie della vergine appesa ad un chiodo debole, cadendo potrebbe farle male. 

E poi ancora altre scritte: Quando ho visto che mia madre era morta è come se fossi morto io. Non potevo assolutamente accettare che non ci fossi più, che il cordone ombelicale venisse reciso, questa volta mi veniva chiesto di nascere davvero e io ho detto no, ho avuto paura, terrore di crescere, panico di vivere e così ho deciso di restare nel suo grembo. L’ho lavata per sentire il suo odore di buono e non di morte. 

In mezzo agli orditi delle scritte a pennarello, c’è il disegno del volto di Gesù Cristo con la corona di spine e i rivoli di sangue che gli scendono dalla fronte: Gesù consentimi di venire un giorno… attraverso la consapevolezza e il pentimento, le redenzione dei miei peccati e della mia empietà, consentimi di sanare la piaga dolorosa e sanguinante che sono ora. 

E ancora, la manifesta impossibilità del vivere: Mamma ti prego tienimi per sempre nel tuo grembo. Ho paura di nascere. Ho panico di crescere. 

Ed ancora: Il mio corpo, se avrò la debolezza di abbandonarmi al maligno, lo troverete nella mia stanza, sopra quello della mamma. Ma sembra non volermi, già due volte ho tentato il suicidio in modo di essere sicuro di non sopravvivere, ed entrambe le volte un intervento celeste e prodigioso mi ha miracolato. 

Le pareti mettono inquietudine anche a chi a queste cose è abituato: vigili del fuoco, soccorso della CRI, carabinieri. «Ho scacciato Satana 19 volte» narra il muro, quel che di muro resta fra rovesci di bottiglie e carta plastica che sembra coltivata, accanto alla libreria vuota e alla scala a chiocciola che porta al piano superiore. «Come eravamo felici». 

«La croce è l’ascensore che ti porterà in cielo».   «Maria Vergine salvami. 

Mi affido totalmente al tuo cuore immacolato».

E’ del tutto evidente lo stato di depressione dell’uomo le cui cause potrebbero essere la morte della madre e la solitudine, ma solo un’analisi profonda del quadro emotivo poteva far comprendere un chiaro quadro clinico, ma purtroppo, sino ad allora, Mirko Sartori non era mai stato sottoposto ad indagine a livello psicologico, ne mai fatto ricorso a nessuna struttura sanitaria. Non si poteva neanche escludere che la psicosi poteva essere una conseguenza di una condizione fisica o dall’abuso di sostanze psicotrope. 

Come il protagonista del film “Paschos” di Hintchev, il figlio aveva trasformato la casa in un santuario, sigillato finestre e porte della camera da letto della madre posta al primo piano della casa. 

Nell’araldico, tappezzato dalle foto di madre e figlio, i militari dell’Arma dietro due ante chiuse con il silicone – morta da tre anni – trovano il corpo rannicchiato della madre. I successivi accertamenti, confermeranno che la donna sia effettivamente deceduta per cause naturali. Dai medicinali rinvenuti nella casa pare che la donna fosse in precarie condizioni di salute. 

La pensione della donna continuava a essere accreditata sul conto corrente intestato a entrambi: 900 euro netti ogni mese e regolarmente ritirata con delega dal figlio, che continuava ad acquistare, anche dopo la morte della madre, le medicine (Optandoli) che le servivano quando era ancora in vita. 

Anna Pelloni era morta a 75 anni davanti alla pagina 420 del televideo. 

Così l’ha trovata il figlio, che ha archiviato la cosa nel suo diario murale. Poi è caduto nel gorgo di se stesso. 

Le scritte sono precise. Il muro è un diario del custode di un corpo di donna. 

C’è il mistero della mente: la genitrice che dona, la donna che protegge dalle intemperie del tempo, c’è lui ai piedi dell’albero finito, l’albero che gli dava le stagioni ora perse. 

E’ morta la Grande Madre. Ma non può morire. 

Allora ecco il «compromesso psicotico»: ti blocco, ti tengo con me, ti curo, ti coccolo, ma quel simbolo di distacco che è il funerale, quello mai.

Era il 2002. Mirko Sartori, aveva 35 anni, era un uomo molto riservato, aveva stampato un biglietto da visita dove si proponeva per incarichi di fiducia – commissioni personali, trasporto colli – e si era rivolto spesso al sindaco per cercare lavoro. “Era sempre solo”, dice la gente del paese, e in quella solitudine aveva chiuso il suo segreto. 

La trasformazione nella vita psichica, al momento del lutto improvviso della madre genera un trauma narcisistico per l’io in formazione del bambino e una conseguente perdita di senso, perché il bambino non ha a disposizione alcuna spiegazione che possa spiegare quello che è avvenuto. 

Secondo lo psicoanalista André Green l’io del bambino mette in opera una serie di meccanismi di difesa tra cui l’identificazione inconscia con la madre morta, in una sorta di mimetismo, per continuare a mantenere un legame con la madre e ristabilire un’unione con lei, divenendo la madre stessa per continuare ad averla. 

La sindrome della madre morta, descritta da Green, non riguarda le conseguenze psichiche legate al lutto per la perdita reale della madre, ma il lutto rispetto alla perdita di una certa immagine interna della madre, in seguito a una depressione materna (1). 

La “madre morta” è quindi una madre che resta in vita ma che muore psichicamente per il bambino, passando da oggetto vivo, fonte dei sentimenti di vitalità del bambino, a oggetto morto, inanimato, che impregna di sentimenti di lutto e mancanza la relazione stessa. Secondo Green questo evento dà luogo a una forma depressiva che non condivide i tratti caratteristici della depressione, che anzi non sono evidenti ad una prima analisi. Al contrario sembrano manifestarsi dei conflitti narcisistici che si ripercuotono sulla vita affettiva, relazionale e professionale (2). 

(1) Green, A. (1983) Narcisismo di vita e narcisismo di morte, Borla, Roma;

(2) Marta Rebecca Farsi, La depressione e la rinuncia al Sé: il ruolo della “madre morta www.stateofmind.it/2022/09/narcisismo-morte-depressione-materna/ 

E' nato a Caserta il 23 agosto 1967 ed è Commissario del Corpo di Polizia Penitenziaria. Laureato in giurisprudenza, ha conseguito un master in scienze criminologiche-forensi ed uno in scienze penitenziarie e dell’esecuzione penale. Avvocato praticante. Socio fondatore nonché Vice Direttore del Comitato Scientifico dell’Accademia Europea Studi Penitenziari. Collaboratore della Procura Federale FIGC. Segretario Generale Aggiunto del Sappe e Consigliere Nazionale dell’Anppe.

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